Il Mondiale di calcio 2018, in Russia, è cominciato sbattendo in prima pagina le difficoltà patite dalle grandi. Le note più dolenti riguardano la Germania, campione in carica, sconfitta dal tenace Messico. Lowe è alle prese con una squadra apparsa prevedibile e poco dinamica, decisamente a corto di idee, in particolare nel corso del primo tempo. Il tecnico, bersaglio di attacchi durissimi, è sicuro che i "panzer" riprenderanno la traiettoria utile per passare il turno; intanto, li redarguisce alla sua maniera, non si sa mai, con teutonica inflessibilità.
Il Brasile di Neymar, tra i favoriti quest'anno, nell'esordio contro una Svizzera aggressiva e, nel complesso, poco pungente, è stato costretto al pareggio. La prodezza balistica di Coutinho non è bastata a mettere sotto avversari senza timori reverenziali e capaci di riequilibrare l'incontro superando Alisson con un colpo di testa sotto misura di Zuber, accusato, tra l'altro, dai brasiliani per una spinta a Miranda.
La Seleçao è stata brillante solo a tratti e per troppo poco. Il professor Tite, dalla panchina, ha cercato rimedi che non ha trovato.
I problemi non hanno risparmiato anche l'Argentina, che ha impattato con la coriacea Islanda; e Messi si è visto parare un rigore da Halldorsson. Maradona salva la Pulce per l'errore dagli undici metri e impreca contro Sampaoli, il commissario tecnico dell'Albiceleste, che, secondo il Pibe de oro, non può permettersi di sbagliare ancora, altrimenti è bene che cominci a pensare di non poter tornare in patria.
E gli italiani? Il popolo calcistico più deluso dell'universo continua a macerarsi, a imprecare, a maledire coloro che ritiene responsabili del disastro azzurro, a "sformare", come si dice a Lucera. Il picco di delusione è salito guardando quanto è successo sui campi in questi primi giorni: la nazionale italiana non avrebbe sfigurato.
Come è stato dolorosamente detto milioni di volte, non accadeva da sessant'anni che il calcio italiano mancasse la qualificazione alla fase finale di un mondiale. Quella volta, nel 1958, non andammo in Svezia; e fu l'edizione che segnò la nascita della stella più luminosa: Pelè. La Perla nera, a diciassette anni, in una Seleçao scintillante di indimentibabili campioni, stupì il mondo e cominciò a edificare la sua leggenda di calciatore più grande della storia.
Fu l'unico mondiale giocato in Europa ad essere vinto da una nazionale non del vecchio continente, appunto, il Brasile.
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